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Per tutto il secolo scorso abbiamo assistito alla colonizzazione degli stati sovrani, da parte delle superpotenze mondiali, attraverso guerre, istallazione di basi militari, instaurazione dei debiti inestinguibili e gestione del fabbisogno energetico. Da venticinque anni ad oggi, dopo la caduta del muro di Berlino e la conseguente affermazione di un modello unipolare di globalizzazione, dominato dalla potenza militare statunitense, e gestito dalla finanza globale, assistiamo ad una nuova tendenza ipercapitalistica occidentale : non più colonizzare, ma distruggere gli stati nazionali, rendendoli simili a corporation, facilmente assoggettabili al volere di enormi agglomerati finanziari definiti più comunemente “mercato”. Tutto ciò sta avvenendo sotto gli occhi di tutti. Dopo esser riusciti a sottrarre agli stati nazionali la moneta e il controllo delle leve di politica monetaria attraverso la privatizzazione degli istituti bancari centrali, negli ultimi anni , enti sovranazionali stanno costringendo i governi, molto spesso da loro stessi gestiti, all’attuazione di politiche aventi come unico scopo quello di sottrarre al controllo dello stato i gangli fondamentali delle economie interne.
Che siano “riforme strutturali”, “patto di stabilità”, “trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti”, “meccanismo europeo di stabilità”, “European Redemption Fund” o qualsiasi altro simile imbroglio, il fine è lo stesso, eliminare ogni forma di sovranità nazionale. Via dallo stato il potere di regolamentare il mercato dei beni, omologazione e flessibilizzazione del mercato del lavoro, pretese assurde sul rispetto di parametri di deficit e debito, attraverso la progressiva riduzione della capacità di fare spesa pubblica e scellerate politiche di “privatizzazione”. Queste ultime comportano la cessione di quote azionarie consistenti e di conseguenza del controllo delle principali aziende statali, operanti in settori strategici quali energia, telecomunicazioni, trasporti, sanità, servizi, pensioni, il tutto a favore di gruppi privati come banche d’affari, fondi speculativi o grosse multinazionali.Purtroppo la maggioranza della dottrina economia accademica, totalmente asservita alla logica liberista e capitalista, è d’accordo nel considerare le “privatizzazioni” come uno strumento per rendere efficace l’inefficace e corrotta gestione pubblica della politica industriale, ed è oltretutto concorde nel considerare la spesa pubblica di stato come qualcosa da eliminare progressivamente, lasciando al settore privato e alla “libera concorrenza di mercato” la gestione di tutti i beni e servizi essenziali alla vita del cittadino. In realtà l’evidenza empirica mostra come i risultati macro e micro economici di tali politiche siano l’esatto opposto di quelli propagandati, in quanto il debito e le relative tasse per pagarne gli interessi continuano ad aumentare incessantemente, il PIL a diminuire, ed al cittadino restano rincari delle bollette di luce, gas , acqua, del costo dei servizi accompagnati da licenziamenti di massa, diminuzione dei salari, tagli alle pensioni, alla scuola, alla sanità, aumento dell’età pensionabile, ed altre simili disgrazie.
Questo processo è inesorabile, più si va avanti più diventa difficile tornare indietro, più il potere politico cede pezzi di stato più diventa difficile riacquistarli, poiché, nelle moderne democrazie liberali occidentali, dove per vincere le elezioni l’unico requisito è il doping mediatico , diventa essenziale avere l’appoggio di gruppi finanziari privati, padroni di aziende strategiche tra le quali telecomunicazioni, satelliti , antenne, giornali nazionali, e sempre vogliosi di ricevere in cambio dal loro candidato qualche nuovo pezzo di Stato per pochi denari. Oltretutto la forza economica e decisionale dello stato perde consistenza rispetto a quella dei grandi agglomerati finanziari internazionali, diventando totalmente succube delle logiche del “mercato”. Questo è il presente ed il futuro delle liberal-democrazie occidentali, dove gli Stati nazionali spariscono, insieme ai diritti acquisiti in anni di lotte e a qualsiasi forma di identificazione culturale da parte del cittadino, ridotto a semplice “unità di consumo globalizzata”. Diventa fondamentale oggi schierarsi con gli stati che resistono al modello di mondo occidentale guidato dal freddo mercato, a favore delle differenze culturali tra tutte le nazioni che, con la loro storia, la loro lingua e le loro tradizioni arricchiscono l’intera umanità.
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